Il Nord è grigio.
Se chiude gli occhi e pensa al Nord Italia, la prima immagine che vede è quella di una cupa coltre di nebbia. Avanza col pensiero tra le microscopiche particelle d’acqua torbida e sente un odore di pioggia mista a smog. Inspira quest’aria malsana a pieni polmoni: vuole che il suo corpo sappia quanto sia nociva, tossica quanto il fumo di una sigaretta, una di quelle che si accende quando ha le lacrime agli occhi e la rabbia nel petto.
Il Nord è grigio, ma il cielo che sta fissando in quel momento è una distesa di lapislazzuli.
Piazza San Carlo la circonda con statuaria imponenza. Si sente insignificante. Vorrebbe essere impressionata dalla sua magnificenza, dall’ampia pianta e dagli eleganti portici, ma la fredda struttura architettonica non riesce a sfiorarle il cuore. Si mantiene a distanza, come del resto sta facendo lei. È sola al centro della piazza: una ragazza, la sua sciarpa multicolore, un trolley azzurro, le undici di sera e il gelo di gennaio.
Le luci aranciate dei lampioni le indicano la via, ma non si muove.
Sente di dover attendere.
Ha la sensazione che se aspetterà, se sarà paziente per ancora qualche minuto, succederà qualcosa. È un presentimento innato più che una certezza. Ha smesso da tempo di avere fede nel destino. Non ci crede più. È diventata un’agente attivo: raccoglie quel che semina.
Il suo respiro caldo serve a ben poco. Strofina le mani tra loro e si maledice per aver dimenticato i guanti. A casa, in un’altra regione, una verde.
Il Centro è verde, come le campagne toscane e le pianure marchigiane.
Ha aspettato fin troppo.
Torna sui binari prestabiliti, soffoca ogni futile e onirica aspettativa. In fin dei conti, non sapeva proprio cosa stesse aspettando, né cosa si aspettasse. A sue spese ha appreso che la tanto decantata speranza in realtà è una nemica pericolosa.
“Uccidi la speranza e avrai la chiave per la felicità”.
Nella fredda notte invernale di Torino, qualcuno pronuncia il suo nome.
Le sue aspettative assumono un volto, rievocano dei tempi andati, un treno lasciato correre, un’occasione persa per codardia.
La speranza, quella stronza, ritorna dal mondo dei morti, trionfante. Si erge su di lei come una Nike e la sua voce sussurra sprezzante al suo orecchio: “Sono l’ultima a morire”.
Autrice: Celeste Z.
Celeste Z., classe '96, ama scrivere di occasioni perse e di futuri che non potranno mai essere vissuti. Laureata in Informatica Umanistica, vorrebbe poter dare un'etichetta al suo lavoro ma non ci riesce mai. Quando le chiedono cosa faccia, risponde "Mi pago l'affitto". Sono l'ultima a morire è il suo primo racconto pubblicato su Voci di Carta.
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